La ragione della sconfitta è stata, principalmente, quella di non aver saputo capire, nella sua gravità ed incombenza, il disagio della modernità (per usare il titolo di un fortunato libro di C.TAYLOR) la fatica e difficoltà del vivere, l’incertezza, la preoccupazione, a volte l’angoscia e la disperazione, diffuse in ampie fasce sociali, non solo il proletariato degli albori del socialismo:
timore dei giovani per il futuro, dei lavoratori per l’insicurezza della conservazione del posto, dei piccoli imprenditori di essere fagocitati dai più grandi, dei professionisti di vedersi portare via il cliente, degli anziani di perdere la autosufficienza, delle massaie di non riuscire a quadrare i conti familiari, degli immigrati di non potersi integrare e di vedersi respinti.
Anziché contrastarne e combatterne le distorsioni, la Sinistra di fatto ha accettato di convivere (sperando di emendarlo e di frenarne, invano, la rapacità) con il primo responsabile di queste difficoltà: il mercato globale .
Di fronte a questo feticcio della idolatria neoliberista la Sinistra democratica riformista si è dimostrata arrendevole, timorosa di apparire anacronistica e non al passo coi tempi.
Ed invece il retaggio storico e filosofico che assegna alla Sinistra di lottare contro tutte le discriminazioni, imponeva ed impone di reagire in modo netto e senza tentennamenti contro gli effetti perversi (alcuni dei quali sopraccennati) provocati nella società civile dalla esasperazione della concorrenza e della competizione.
Non è accettabile, per la Sinistra, che i grandi potentati economici per ottenere benefici fiscali e la deregulation nella produzione minaccino di spostare le fabbriche e le catene di produzione in altri Stati più corrivi sulle tutele del lavoro.
Non è ammissibile, per la Sinistra, che le Aziende, con la scusa del dover reggere la concorrenza, ricattino i Governi pretendendo misure di ampliamento della mobilità e della flessibilità che getta scompiglio fra i lavoratori, specie i più giovani, ed incrina i principi costituzionali di tutela del lavoro.
Non è possibile, per la Sinistra, restare inerte di fronte al sempre più spregiudicato e impudente disegno confidustriale (spalleggiato da un Governo di infimo profilo che guarda con malcelato fastidio ai sistemi di garanzia e protezione dei ceti più deboli) finalizzato ad indebolire il Sindacato (che si fa già abbastanza male da sé) e la dignità del lavoratore chiedendo:
- di introdurre il principio che la contrattazione aziendale integrativa può essere peggiorativa di quella generale
- di prevedere contratti individuali di lavoro
- di detassare gli straordinari (in tal modo danneggiando le donne e i disoccupati)
- di incentivare chi non va in pensione
- di aumentare le competenze delle Agenzie private per l’impiego (vero caporalato legalizzato)
- di agevolare la c.d. esternalizzazione
- di allargare mobilità e flessibilità in tutte le varie (e spesso subdole) forme.
Lo scopo di queste misure è evidente: dividere i lavoratori, creare tra loro concorrenza in modo che non ci sia più solidarietà fra colleghi ma divisione tra rivali.
Come ha, fra gli altri, affermato il sociologo Colin CROUCH, nel suo libro "Postdemocrazia" (Laterza, 2003) "il mercato non può essere un principio assoluto, un imperativo categorico, poiché è solo un mezzo per perseguire un fine e non un fine in se stesso".
Prima ancora il grande sociologo tedesco Ulrick BECK ("I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione". Il Mulino, 2000) aveva definito il "fondamentalismo del mercato" di certi neoliberali come "una forma di analfabetismo democratico" perché il "mercato non si giustifica da sé. Questo tipo di economia può sopravvivere solo in un rapporto continuo con la sicurezza materiale, i diritti sociali, la democrazia. Chi scommette esclusivamente nel mercato, con la democrazia distrugge anche questo tipo di economia".
Il costo della ricerca di competitività, per non andare fuori mercato, è ormai insostenibile sia sotto il profilo economico (come dimostra la lentissima crescita degli stipendi in Italia rispetto ad altre Nazioni) sia sotto quello sociale.
Colpevolmente, la Sinistra si è fatta sfuggire di mano questo aspetto decisivo e caratterizzante l’attuale fase, non solo in Italia.
Non ha capito che occorre qualcosa di nuovo rispetto alla solita ricetta Keynesiana dell’incentivazione della domanda e del consumo come motore della produzione e dell’occupazione.
Il periodo della ricostruzione post-bellica è passato e forse occorre qualcosa di meno semplicistico della formula adottata da H. FORD "aumento il salario ai miei operai perché comprino le mie automobili".
E nemmeno può continuare ad accettare supinamente come dato indiscutibile ed insostituibile il criterio del PIL, divenuto uno spauracchio per i Governi benché lo stesso sia fatto aumentare, come è stato grottescamente notato, anche dalle spese per i funerali e dall’uso di mezzi antincendio per spegnere i fuochi accesi dai piromani e dalle medicine per curare gli ammalati.
Già Robert KENNEDY, in un discorso pronunciato pochi mesi prima della sua uccisione nel 1968, ebbe a dire:
"Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per sgomberare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle.
Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari….
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti….
Il PIL non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese.
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta".
Molti altri hanno criticato il PIL come indicatore di benessere economico e proposto altri criteri.
La Sinistra ha il dovere di rifiutare che la linea guida della politica economica sia costituita principalmente se non esclusivamente dalla incentivazione dei consumi di beni e servizi da parte dei componenti della società.
Il cittadino deve tornare ad essere, prima che consumatore e utente, protagonista della vita politica e sociale, soggetto di relazioni.
Non è forse, il Welfare State, la demercificazione del lavoro umano, cioè il diritto alla realizzazione del proprio progetto di vita, al riparo della pressione delle forze di mercato? (ESPING-ANDERSEN).
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In tale progetto di vita la Sinistra può e deve svolgere la sua naturale e ritrovata funzione.
In primo luogo attraverso i meccanismi di una equa redistribuzione della ricchezza (da non confondere , ovviamente, con un utopistico quanto anacronistico collettivismo livellatore) per assicurare una maggiore giustizia e solidarietà sociale (magari studiando qualcosa di più della solita leva fiscale progressiva, combattendo seriamente l’evasione, ed aprendo alla c.d. Economia Civile, al Terzo Settore, al no-profit, anch’essi in grado di produrre ricchezza, ma nel rispetto dell’Etica).
E’ questa la conseguenza dell’ossequio al principio di uguaglianza sostanziale (recepito nell’art. 3, comma 2° della Costituzione Italiana) nel quale BOBBIO ("Destra e Sinistra", Donzelli, 1994) ha ravvisato il principale elemento caratterizzante la Sinistra.
Principio di uguaglianza che, tuttavia, deve estendersi oltre il piano economico e giuridico per uniformarsi a quella splendida e commovente definizione che ne dette Simone WEIL, ebrea perseguitata dai nazisti:
"L’uguaglianza è un bisogno vitale dell’anima umana. Essa consiste nel riconoscimento pubblico, generale, effettivo, espresso realmente dalle Istituzioni e dai costumi, che ad ogni essere umano è dovuta la stessa quantità di rispetto e di riguardo, perché il rispetto è dovuto all’essere umano come tale e non conosce gradi".
Si tratta, in sostanza, del riconoscimento dovuto alla dignità della persona, anche la più umile e derelitta, che ha affratellato nei secoli i tanti che, persino a costo della loro vita, si sono battuti per il principio socialista di libertà e riscatto delle masse subalterne esistenti in ogni parte della Terra.
Afflato e legami che, riconosciamolo, l’assuefazione alla comodità e agiatezza del vivere occidentale ha forse allentato, ma che andranno ripresi.
I grandi problemi mondiali (Guerre, Discriminazioni, Fame e Povertà, Squilibrio Nord-Sud, Esaurimento risorse non rinnovabili, Degrado ambientale e altri) che purtroppo continuano ad aggravarsi, ne daranno triste occasione.
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E’ venuto il momento, per la Sinistra, di prendere un impegno di grande responsabilità: quello di portare al centro dell’azione politica e sociale il diritto dei cittadini alla ricerca della Felicità, da intendersi non solo e non tanto come stato individuale di appagamento e realizzazione personale ed egoistica, ma anche e soprattutto come inserimento in una società libera e giusta, attenta alla qualità della vita anche collettiva.
Una felicità pubblica, insomma, come terreno fertile per un’effettiva attuazione della Democrazia.
Concetto antico, quello della Felicità, comune a disparate correnti di pensiero filosofico, politico, economico ed anche religioso, ma che è sempre rimasto fuori della porta, per così dire, per la paura dei Governanti di essere incapaci di attuare un progetto tanto affascinante quanto impegnativo.
E così si è preferito ripiegare sui concetti di "welfare" o di "benessere" i quali, effettivamente, sono meno evocativi, affascinanti e intriganti rispetto al termine Felicità.
Non è tuttavia un mistero che, specie negli ultimi anni, siano fiorite pubblicazioni, Congressi, Convegni su questo tema.
In uno degli ultimi, tenutosi a Roma nel giugno 2007 sul significativo tema "Psicologia ed Economia della Felicità: verso un cambiamento dell’agire politico" si è particolarmente insistito sulle prospettive aperte dalla scelta di politiche per la Felicità.
Per quanto possa sembrare eccessivamente semplificato, sarà sufficiente prendere a base di partenza di una politica per la felicità, quella che viene chiamata la Piramide o la Scala della Gerarchia dei Bisogni ideata nel 1954 dallo psicologo americano Abraham MARLOW, poi accresciuta di livelli nel 1968.
Basandosi su dati empirici MARLOW elaborò la teoria che i bisogni si presentano secondo una logica gerarchica: alla base si collocano quelli fisiologici più elementari che permettono la sopravvivenza della persona; al primo livello il bisogno di sicurezza, personale e sociale; più sopra il bisogno di appartenenza (ad un gruppo sociale, ad una organizzazione); al penultimo livello il bisogno di stima e reputazione; all’apice, il bisogno di autorealizzazione.
La particolarità di tale scala gerarchica è che non può passarsi alla soddisfazione del bisogno superiore se prima non è soddisfatto quello inferiore.
In altri termini l’individuo trova una spinta motivazionale nel perseguire la soddisfazione di un bisogno.
Lo Stato dovrebbe garantire le condizioni perché queste aspirazioni possano essere raggiunte.
Naturalmente potrà discutersi sulla esaustività di tale scala dei bisogni da salire per giungere alla felicità, ma certamente tale semplice schema dimostra le potenzialità del progetto felicità.
Basterebbe pensare alla sua applicazione nei processi motivazionali lavorativi, o quelli scolastici, ad esempio (dove non va lasciata alla Destra la valorizzazione del merito).
La Sinistra deve farsi carico di propugnare i beni relazionali schiacciati dalla dicotomia mercato-consumo e ingiustamente negletti perché non fanno incrementare il PIL, non sono valutabili in termini monetari, sono gratuiti ( e per questo taluni economisti li chiamano pubblici).
Favorire gli scambi relazionali, oltre a produrre ricchezza ( si pensi all’economia c.d. solidale, alla cooperazione, alla mutualità) anche se non rilevata dal PIL, impegna lo Stato a mettere a disposizione spazi pubblici ( da qui l’attenzione alle scelte urbanistiche ed ambientali) a favorire l’aumento di tempo libero (da qui l’importanza di scelte su una migliore articolazione dell’orario settimanale lavorativo) a garantire le condizioni ottimali di esplicazione della personalità in pubblico.
In conclusione la Sinistra deve tornare ad un progetto complessivo di alternativa politica e sociale legato alle proprie origini ma al tempo stesso consapevole della realtà politica, economica e sociale al tempo della globalizzazione
- senza demonizzare ma cercando di umanizzare (uso un termine di Stefano ZAMAGNI) il mercato e quindi l’economia;
- riaffermando il carattere precettivo ed impegnativo di uguaglianza sostanziale e non solo formale;
- di perseguire politiche che favoriscano il raggiungimento della privata e pubblica felicità.
Sarebbe bello, in un mondo dominato dagli slogans più insulsi, poter dire ciò che Jeremy BENTHAM scrisse alla figlia di un amico
" Crea il massimo di felicità che puoi creare;
Rimuovi il massimo di sofferenza che puoi rimuovere.."
Consapevole della propria identità e funzione la Sinistra Democratica ha, dunque, ancora molto da dire e, soprattutto, da fare.
Avv. Massimo CECIARINI
Presidente Associazione "Politica Insieme" Grosseto